Il greenwashing è oggi uno dei temi più discussi nel panorama della sostenibilità. Il termine identifica tutte quelle pratiche di comunicazione ambientale ingannevole, dove aziende, enti o istituzioni si presentano come “green” senza esserlo davvero. Si tratta di una questione fondamentale non solo per motivi etici, ma anche per le implicazioni legali ed economiche.

Con questa guida dettagliata vogliamo aiutare imprese e professionisti a capire cos’è il greenwashing, quali sono i rischi, cosa dice la normativa e come costruire una comunicazione trasparente e verificata.


Cos’è il greenwashing?

Origine e definizione

Il termine greenwashing nasce nel 1986 grazie all’ambientalista Jay Westerveld. La parola combina “green” (verde) e “washing” (lavare), e si riferisce a tutte quelle strategie di marketing o comunicazione che presentano come sostenibili prodotti, servizi o intere aziende senza un reale riscontro oggettivo.

In pratica, il greenwashing può essere definito come una affermazione falsa o fuorviante sulla sostenibilità, fatta al solo scopo di ingannare i consumatori e gli investitori, senza un vero impegno verso la tutela dell’ambiente.


Perché è così diffuso oggi

Negli ultimi anni, la crescente consapevolezza ambientale dei consumatori ha spinto molte aziende a cavalcare l’onda “green”. Tuttavia, essere realmente sostenibili implica spesso investimenti consistenti e modifiche profonde nella produzione e nella supply chain. Di conseguenza, alcune imprese scelgono scorciatoie: investire più nella comunicazione che nella sostenibilità reale.


Le nuove normative sul greenwashing

La direttiva 2024/825/UE

Uno spartiacque in tema di greenwashing è la Direttiva europea 2024/825/UE, pubblicata il 6 marzo 2024 e nota come “Empowering Consumers for the Green Transition”. Questa direttiva:

  • Obbliga le aziende a dimostrare la veridicità di ogni claim ambientale.

  • Vietata l’uso di dichiarazioni generiche o fuorvianti.

  • Impone la trasparenza e l’accessibilità dei dati.

  • Stabilisce sanzioni severe in caso di violazioni.

I singoli Stati membri, inclusa l’Italia, dovranno recepire la direttiva entro marzo 2026. Le aziende avranno tempo fino a settembre 2026 per adeguarsi.


La normativa italiana e altri riferimenti

In Italia, oltre alla nuova direttiva, esistono riferimenti normativi rilevanti:

  • La Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali.

  • Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, articolo 12.

  • La vigilanza affidata all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

A livello internazionale, paesi come Francia e Germania hanno introdotto leggi specifiche contro il greenwashing, mentre negli Stati Uniti il controllo è affidato a organismi come FTC, SEC ed EPA.


I 7 peccati capitali del greenwashing

Cosa sono e perché servono per riconoscerlo

Secondo TerraChoice Environmental Marketing, ci sono 7 segnali chiave che identificano le pratiche di greenwashing:

  1. Omissione (Hidden Trade-off): si enfatizza un aspetto positivo, ignorando gli impatti negativi.

  2. Mancanza di prove (No proof): mancano dati verificabili.

  3. Vaghezza (Vagueness): claim generici e non chiari.

  4. False etichette (Worshiping false labels): utilizzo di marchi auto-prodotti o non riconosciuti.

  5. Irrilevanza (Irrelevance): si promuovono qualità scontate o già obbligatorie per legge.

  6. Minore dei mali (Lesser of two evils): si evidenziano miglioramenti minimi su prodotti comunque dannosi.

  7. Bugia (Fibbing): claim palesemente falsi.


Esempi di greenwashing famosi

Ferrarelle

Nel 2011, Ferrarelle fu multata dall’AGCM per la campagna “Acqua a impatto zero”, basata su compensazioni di CO2 che coprivano solo una parte marginale delle emissioni reali.

ENI

ENI è stata accusata più volte di greenwashing, in particolare nel 2022 per la promozione del brand Plenitude durante il Festival di Sanremo, nonostante la società continuasse a investire pesantemente sui combustibili fossili.

Lufthansa

Nel 2023, Lufthansa ha dovuto ritirare la campagna “Connecting the world. Protecting the future” su ordine dell’Advertising Standards Authority inglese, ritenuta troppo ambigua rispetto ai reali investimenti ambientali.


Le conseguenze del greenwashing

Rischi legali e reputazionali

Il greenwashing comporta:

  • Sanzioni legali, spesso salate.

  • Danni reputazionali difficili da recuperare.

  • Perdita di fiducia da parte di consumatori e investitori.

  • Problemi interni di coerenza aziendale.

Un’azienda che si espone troppo senza basi rischia di vanificare anni di lavoro sulla brand reputation.


Greenwashing e finanza sostenibile

Un tema in forte crescita è quello del greenwashing finanziario. In questo caso, si tratta di fondi e strumenti di investimento che si presentano come ESG-compliant ma che in realtà non rispettano i criteri ambientali, sociali e di governance in modo serio. La normativa SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) e i nuovi standard europei cercano di arginare queste derive.


Come evitare il greenwashing?

Le 3 regole auree:

  1. Trasparenza totale: dichiarare cosa si fa e cosa non si fa
    La trasparenza non significa solo raccontare i propri successi ambientali, ma anche riconoscere i limiti e i punti critici. Una buona comunicazione green deve rispondere a domande come: Qual è l’impatto ambientale effettivo del prodotto? Quali sono le sue principali criticità? Quali azioni sono in corso per migliorarlo? Essere trasparenti significa fornire ai consumatori dati chiari, aggiornati e accessibili, senza nascondere le ombre. Questa sincerità, se ben gestita, aumenta la credibilità e crea un legame di fiducia con il pubblico. Per esempio, è preferibile dire: “Stiamo usando il 60% di plastica riciclata, ma il nostro obiettivo è arrivare all’80% entro il 2027” piuttosto che presentare il prodotto come completamente ecologico quando non lo è.
  2. Prove concrete: basarsi su certificazioni indipendenti e audit esterni
    Non basta dichiarare, bisogna dimostrare. Oggi esistono decine di certificazioni internazionali riconosciute (come Ecolabel, FSC, Fairtrade, ISO 14001, Cradle to Cradle) che attestano la reale sostenibilità di un prodotto o di un processo. Utilizzare queste certificazioni aiuta a rafforzare il messaggio e a renderlo inattaccabile. Un audit esterno è spesso la prova più forte di trasparenza: permette di validare in modo indipendente le affermazioni fatte e offre anche all’azienda un’occasione di crescita interna, individuando margini di miglioramento. Inoltre, è fondamentale aggiornare e comunicare le prove in modo continuativo, soprattutto in settori dove l’innovazione sostenibile è veloce.
  3. Coerenza: agire in modo sostenibile in tutta la catena di valore
    Una comunicazione efficace deve essere la punta di un iceberg fatto di azioni concrete. La sostenibilità non riguarda solo il prodotto finale, ma tutto il ciclo di vita: dalla selezione dei fornitori, ai processi produttivi, al trasporto, fino al packaging e alla gestione del fine vita. La coerenza interna tra ciò che si comunica e ciò che si fa realmente è ciò che distingue le aziende virtuose da chi fa solo operazioni di facciata. Ad esempio, non ha senso promuovere un prodotto a basso impatto ambientale se l’azienda usa ancora energie fossili per la produzione o sfrutta condizioni di lavoro precarie in altri Paesi. Coerenza significa anche evitare il cosiddetto “green hushing”, ovvero l’opposto del greenwashing: non comunicare affatto le proprie azioni virtuose per paura di critiche, perdendo così un’occasione preziosa di educazione e posizionamento sul mercato.

Il nostro metodo

In HENRY & CO. aiutiamo le aziende a costruire una comunicazione verificata e conforme grazie a:

  • Audit dei claim ambientali.

  • Integrazione di LCA (Life Cycle Assessment) e ecodesign.

  • Formazione e aggiornamento continuo per team interni.


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FAQ greenwashing

👉 Basta piantare alberi per definirsi carbon neutral?
No, la compensazione deve essere l’ultima tappa dopo riduzioni reali delle emissioni. Tutto deve essere tracciabile e verificabile.

👉 Posso scrivere “eco-friendly” se uso materiali riciclati?
Solo se dichiari in modo preciso e dimostrabile le percentuali e la provenienza dei materiali.

👉 Chi controlla i green claim?
In Italia è l’AGCM. In futuro, le nuove normative richiederanno sistemi di verifica ancora più stringenti.

👉 Che ruolo ha HENRY & CO. contro il greenwashing?
Noi siamo il partner delle aziende che vogliono comunicare in modo serio e trasparente. Offriamo servizi di consulenza, audit e progettazione sostenibile per garantire che ogni messaggio sia fondato su dati reali.


Conclusione

Il greenwashing è un problema serio che rischia di compromettere il percorso verso un’economia più sostenibile. Ma è anche un’opportunità: per chi decide di investire davvero nella trasparenza e nella sostenibilità, si apre la strada verso una relazione solida e duratura con consumatori e stakeholder. In HENRY & CO., crediamo che solo la comunicazione sostenibile e verificata possa costruire un futuro migliore. Contattaci per rendere la tua azienda parte del cambiamento reale.

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