COP – Conference of the Parties
La Conference of the Parties (COP) è l’organo decisionale principale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Le riunioni della COP vedono la partecipazione di leader mondiali per discutere azioni globali contro i cambiamenti climatici.
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Origine e ruolo della COP nel contesto della governance climatica globale
La prima Conference of the Parties si è svolta a Berlino nel 1995, due anni dopo l’entrata in vigore della UNFCCC, la Convenzione adottata alla Conferenza di Rio del 1992. Da allora, la COP si tiene ogni anno in una nazione diversa e rappresenta il cuore della diplomazia climatica internazionale.
La COP è l’organo decisionale supremo della Convenzione: monitora l’attuazione dell’accordo, valuta i progressi scientifici e politici, negozia nuovi impegni e aggiorna le regole operative. Il suo obiettivo è quello di raggiungere un consenso su strategie e strumenti efficaci per mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi ai loro impatti.
Ogni Stato firmatario (detto “Parte”) ha diritto di voto e partecipa ai lavori, che si sviluppano su più livelli: incontri formali, tavoli tecnici, gruppi di lavoro, eventi paralleli e interventi della società civile.
Le tappe fondamentali: da Kyoto a Parigi, fino a Glasgow
Nel corso delle varie edizioni della COP, sono stati raggiunti alcuni accordi storici che hanno definito l’evoluzione delle politiche climatiche globali.
Uno dei momenti più significativi è stato il Protocollo di Kyoto, adottato alla COP3 del 1997, che per la prima volta ha fissato obblighi vincolanti di riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati. Il protocollo è entrato in vigore nel 2005 e ha rappresentato un primo passo verso una governance climatica strutturata, ma ha mostrato i suoi limiti nella mancanza di impegni per i Paesi emergenti.
Un altro punto di svolta è stato raggiunto nel 2015 con l’Accordo di Parigi, siglato alla COP21. Per la prima volta, tutti i Paesi del mondo – industrializzati e in via di sviluppo – hanno concordato di contenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C, con l’ambizione di limitarlo a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. L’accordo non impone obiettivi uguali per tutti, ma si basa su contributi determinati a livello nazionale (NDCs), che vengono aggiornati periodicamente.
A Glasgow, nel 2021, la COP26 ha segnato un ulteriore avanzamento, con l’adozione del Glasgow Climate Pact, che ha ribadito l’urgenza di eliminare gradualmente il carbone, ridurre i sussidi ai combustibili fossili e rafforzare la finanza climatica. Tuttavia, anche in quell’occasione sono emerse tensioni geopolitiche e il divario tra Paesi sviluppati e Paesi vulnerabili è apparso ancora evidente.
Un’arena multilivello: governi, imprese, città e società civile
La COP non è solo un summit intergovernativo. Negli anni si è trasformata in una piattaforma globale multilivello, che coinvolge anche regioni, città, università, imprese, ONG, comunità indigene e giovani attivisti. Oltre ai negoziati ufficiali, si tengono centinaia di side events, padiglioni tematici, conferenze parallele e iniziative di confronto tra stakeholder.
Questo pluralismo è fondamentale per affrontare la crisi climatica, che non può essere gestita solo a livello statale. La transizione ecologica richiede infatti l’impegno di tutti gli attori sociali ed economici. Le imprese, in particolare, sono chiamate a definire strategie di decarbonizzazione coerenti con gli obiettivi di Parigi e a comunicare con trasparenza il proprio impatto, anche in risposta a regolamenti come la CSRD e la Tassonomia europea.
Limiti e critiche: tra ambizione politica e realismo
Nonostante il ruolo centrale della COP, il processo negoziale delle Nazioni Unite è stato spesso criticato per la sua lentezza, complessità e scarsa incisività. I documenti finali vengono quasi sempre adottati per consenso unanime, il che significa che basta l’opposizione di un solo Paese per rallentare o indebolire le decisioni comuni. Questo meccanismo rende difficile raggiungere risultati ambiziosi, soprattutto in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche.
Un altro limite è la mancanza di strumenti vincolanti e di sanzioni efficaci. Gli impegni presi nei Nationally Determined Contributions (NDCs) non sono legalmente obbligatori, e molti Paesi non li rispettano pienamente. La scienza climatica mostra con evidenza che le attuali promesse non sono sufficienti a evitare gli impatti più gravi del riscaldamento globale, ma la volontà politica spesso non è all’altezza dell’urgenza.
Inoltre, la distanza tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo si manifesta con forza attorno ai temi della finanza climatica, delle perdite e danni (loss and damage) e del trasferimento tecnologico. I Paesi del Sud globale chiedono maggiori risorse per adattarsi agli effetti del cambiamento climatico, ma gli aiuti promessi – come i famosi 100 miliardi di dollari all’anno – non sono mai stati completamente versati.
COP e Italia: partecipazione, ruolo e prospettive
L’Italia partecipa a tutte le edizioni della COP in quanto firmataria dell’UNFCCC e dell’Accordo di Parigi. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è l’ente responsabile per la negoziazione e il coordinamento delle posizioni italiane. In alcune occasioni, il nostro Paese ha avuto un ruolo rilevante: ad esempio, nel 2021 ha co-organizzato con il Regno Unito la Pre-COP di Milano e la Youth4Climate, che hanno anticipato la COP26 di Glasgow.
Tuttavia, nel panorama internazionale l’Italia fatica a imporsi come leader climatico, anche a causa delle incertezze interne, delle oscillazioni politiche e di un sistema burocratico spesso inefficiente. La partecipazione italiana alla COP è spesso giudicata formale e poco incisiva in termini di proposte trasformative. I rappresentanti istituzionali portano posizioni moderate, senza guidare con decisione il cambiamento.
Anche a livello nazionale, molte promesse legate alla transizione ecologica – come la decarbonizzazione dell’industria, la semplificazione delle autorizzazioni per le rinnovabili o la mobilità sostenibile – restano incompiute o rallentate, con scarsa coerenza tra piani, incentivi e risultati. L’opportunità offerta dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) non è ancora stata sfruttata appieno per rafforzare la posizione dell’Italia nei negoziati climatici.
Il futuro delle COP: oltre la diplomazia, verso l’attuazione
Oggi, a trent’anni dalla nascita dell’UNFCCC, la sfida non è più solo negoziare nuovi obiettivi, ma attuare quelli già concordati. La vera questione non è la quantità di CO₂ promessa nei documenti, ma la capacità reale dei governi, delle imprese e delle società di rispettare gli impegni presi.
Le prossime edizioni della COP dovranno necessariamente affrontare tre priorità:
- Rafforzare la credibilità degli impegni nazionali, introducendo meccanismi di monitoraggio più stringenti e trasparenti;
- Assicurare una transizione giusta, che non lasci indietro nessuna comunità e garantisca risorse, tecnologie e know-how ai Paesi più vulnerabili;
- Accrescere la partecipazione dei cittadini, dei giovani e delle comunità locali, rendendo le politiche climatiche più democratiche e inclusive.
In questo scenario, la COP non è soltanto un appuntamento annuale per la diplomazia, ma un acceleratore di cambiamento a condizione che venga accompagnata da coerenza, responsabilità e coraggio politico. Perché, come ricorda spesso la comunità scientifica, il tempo delle dichiarazioni è finito. Serve agire, e farlo in fretta.
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