CRP – Carbon Reduction Plan
Il Carbon Reduction Plan (CRP) è un documento strategico che delinea le azioni pianificate da un’organizzazione per ridurre le emissioni di CO2. Il CRP è essenziale per dimostrare l’impegno aziendale verso la sostenibilità e la transizione verso un futuro a basse emissioni di carbonio.
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Il significato del CRP nel contesto della sostenibilità aziendale
Il CRP non è soltanto un documento tecnico o un atto formale. È l’espressione tangibile di un’assunzione di responsabilità: quella che un’impresa si prende nei confronti del pianeta, della società e del proprio futuro economico. In un momento storico in cui il cambiamento climatico non è più una questione ambientale ma una questione sistemica, i piani di riduzione delle emissioni diventano parte integrante della governance aziendale e dei processi di creazione di valore.
Attraverso il Carbon Reduction Plan, un’impresa esplicita le proprie ambizioni climatiche, definisce i propri obiettivi di decarbonizzazione (basati su dati scientifici), stabilisce le tempistiche per raggiungerli e dettaglia le azioni operative e gestionali previste per la loro attuazione. Tutto ciò si traduce in una roadmap climatica, un piano d’azione verificabile e progressivo.
Le componenti fondamentali di un CRP efficace
Un Carbon Reduction Plan ben costruito include diversi elementi chiave. In primo luogo, si parte da un inventario delle emissioni, basato sui tre ambiti definiti dal Greenhouse Gas Protocol: Scope 1 (emissioni dirette), Scope 2 (emissioni indirette da energia acquistata), Scope 3 (emissioni indirette lungo la catena del valore, come trasporti, acquisti, uso e fine vita dei prodotti).
Sulla base di questi dati, l’azienda definisce target di riduzione coerenti con le linee guida internazionali, come gli Science-Based Targets (SBTi), allineati all’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C. Il piano illustra poi le azioni concrete previste: possono riguardare l’efficientamento energetico, la transizione verso fonti rinnovabili, il redesign dei prodotti, l’ottimizzazione logistica, la scelta dei fornitori, la mobilità aziendale o il comportamento degli stakeholder.
Infine, un CRP maturo include indicatori di performance (KPI), strumenti di monitoraggio continuo, e un impegno alla rendicontazione periodica, spesso integrata nei report ESG o nei bilanci di sostenibilità.
Perché il CRP è diventato uno standard richiesto nei bandi pubblici e nei contratti
Negli ultimi anni, il Carbon Reduction Plan ha assunto una valenza sempre più formale, diventando requisito obbligatorio in molti contesti pubblici e privati. Ad esempio, nel Regno Unito, il CRP è richiesto a tutte le aziende che partecipano a gare pubbliche superiori a una certa soglia economica. Questo approccio si sta diffondendo anche in altri Paesi europei, tra cui l’Italia, dove diverse amministrazioni iniziano a richiedere evidenze concrete di impegno ambientale.
Per molte aziende, presentare un CRP non è solo un gesto reputazionale ma un fattore abilitante per accedere a mercati, appalti, finanziamenti, e collaborazioni strategiche. Non avere un piano di riduzione delle emissioni può significare restare esclusi da opportunità rilevanti e perdere competitività.
CRP, Net Zero e neutralità climatica: come si collegano
Uno degli obiettivi più ambiziosi di un Carbon Reduction Plan è il raggiungimento della carbon neutrality o del cosiddetto Net Zero, ovvero l’equilibrio tra le emissioni di CO₂ generate e quelle rimosse o compensate. Tuttavia, è importante distinguere tra le due nozioni.
La carbon neutrality può essere raggiunta anche attraverso azioni di compensazione, come l’acquisto di crediti di carbonio o la riforestazione, mentre il Net Zero implica una riduzione reale delle emissioni almeno del 90% rispetto ai livelli di base, e solo in seguito la neutralizzazione della parte residua. In questo senso, un CRP solido non si limita a compensare, ma mira alla decarbonizzazione strutturale, integrando innovazione, revisione dei processi e scelte responsabili lungo tutta la catena del valore.
Il ruolo dei piani di decarbonizzazione nel reporting ESG
Con l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e dei nuovi standard ESRS, il Carbon Reduction Plan assume un ruolo strategico anche nella rendicontazione ESG. In particolare, le aziende saranno tenute a fornire informazioni dettagliate su:
- Obiettivi climatici a breve, medio e lungo termine
- Strategie di transizione verso modelli a basse emissioni
- Piani di investimento e governance legati al clima
- Allineamento ai principi della Tassonomia UE
- Impatti e rischi legati al cambiamento climatico
In quest’ottica, il CRP diventa parte integrante del sistema di governance e trasparenza, contribuendo alla credibilità e alla valutazione dell’impresa da parte di investitori, partner, consumatori e autorità pubbliche.
La situazione italiana: tra ambizioni e ritardi strutturali
Nel panorama italiano, l’adozione del Carbon Reduction Plan è ancora disomogenea. Mentre alcune grandi imprese – spesso multinazionali o quotate – hanno già definito roadmap climatiche articolate e integrate nei bilanci di sostenibilità, molte PMI e realtà locali faticano a dotarsi di strumenti strutturati, per mancanza di competenze, risorse o consapevolezza strategica.
A questo si aggiunge una certa frammentazione normativa e l’assenza, fino a oggi, di un vero obbligo generalizzato a livello nazionale. Le imprese che si muovono in anticipo, adottando CRP volontari e credibili, si trovano quindi in una posizione di vantaggio competitivo, anticipando regolamenti futuri, rispondendo alle richieste della filiera e rafforzando la propria resilienza.
Tuttavia, va evidenziata anche l’inefficienza strutturale del sistema Paese: nonostante le numerose promesse sulla transizione ecologica, l’Italia sconta ritardi nelle semplificazioni normative, nei sistemi di incentivazione e nella digitalizzazione dei processi. Spesso i piani di decarbonizzazione restano sulla carta o sono rallentati da ostacoli burocratici, assenza di interoperabilità tra enti e mancanza di una regia strategica nazionale.
Verso un modello operativo: come costruire un CRP efficace
Costruire un CRP non significa solo dichiarare buone intenzioni. Serve una metodologia scientifica, un approccio multidisciplinare e un coinvolgimento reale delle diverse funzioni aziendali. Il piano deve partire da un’analisi LCA (Life Cycle Assessment) o da un bilancio delle emissioni aziendali, per poi costruire scenari di riduzione misurabili, realistici e integrati nei budget e nella pianificazione operativa.
Un buon CRP deve inoltre includere una strategia di comunicazione interna ed esterna, capace di coinvolgere i dipendenti, motivare i fornitori, ispirare i clienti e rispondere con trasparenza a tutte le parti interessate.
Il Carbon Reduction Plan non è quindi solo un documento, ma un patto di trasformazione che ogni impresa può stringere con sé stessa e con il contesto in cui opera. È uno strumento di coerenza tra visione e azione, tra governance e impatto, tra business e responsabilità. E in un mondo dove le emissioni non sono più solo una questione ambientale ma geopolitica, finanziaria e sociale, il CRP rappresenta una leva chiave per restare rilevanti.
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